1.11 Lo spirito dell’alveare

 

 

L’uccellino azzurro è il gran segreto delle cose e della felicità.

Maurice Maeterlinck

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L’uccellino azzurro di Maeterlinck è la consapevolezza che le forme esteriori della realtà non sono altro che le effimere manifestazioni di un’anima essenzialmente unica, universale ed eterna che è al fondo di tutti gli esseri e di tutte le cose. Nell’ambito delle specie animali con vita sociale le api occupano una posizione di rilievo. Nell’alveare l’ape è una creatura di massa, non può vivere che nel mucchio, l’individuo non è nessuno. Tutta la sua esistenza non è che sacrificio incondizionato all’essere infinito e perpetuo di cui fa parte. Non è sempre stato così: al gradino più basso fu sola e misera, poi vennero le associazioni temporanee, poi una vera e propria repubblica (o forse meglio monarchia costituzionale). C’è, in questa specie, una terribile complessità dell’intelligenza, della volontà, del destino, dello scopo, dei mezzi e delle cause, e nell’organizzazione spesso incomprensibile di ogni minimo atto vitale. Nel mondo delle api tutto è governato dallo spirito dell’alveare, la loro più grande potenza a cui esse si sottomettono, mentre la regina è la madre e unico organo dell’amore. Lo spirito dispone della ricchezza, della felicità, della libertà e della vita di tutto il popolo alato, come ubbidendo a una grande missione. Governa le nascite, le attività della regina, la procreazione delle operaie, delle future regine, la nascita dei maschi e il loro massacro, regola il lavoro delle operaie ciascuna con la propria specializzazione a turno (bottinatrici, guardiane, esploratrici, muratrici, ingegnere, nutrici, ecc.) stabilisce il sacrificio annuale della sciamatura. La sciamatura rappresenta la rottura dell’equilibrio sotteso, e la contemporanea creazione delle condizioni per il formarsi di un nuovo equilibrio, il tutto volto alla continuità della specie, al futuro, all’avvenire dell’alveare stesso. Quando l’alveare è al culmine del suo splendore, così magnificamente organizzato nella sua architettura, nella sua struttura, nelle sue provviste, nelle sue attività; quando questa città delle meraviglie raggiunge l’apice della sua luce come il sole a mezzogiorno, ecco che un impulso misterioso fa impazzire tutte le api (quasi tutte, perché alcune rimangono per preparare e preservare il futuro dell’alveare stesso) che ebbre di gioia festeggiano, e in preda all’estasi cessano ogni attività lavorativa. Esse esultano e perdono ilcontrollo di sé. Vanno e vengono caoticamente, contravvenendo alle loro metodiche, precise e minuziose abitudini fino al momento. Quel giorno, governato dallo spirito dell’alveare, le api sono miti ed inoffensive, prive di possessi e felici, a qualsiasi cosa si sottomettono. Danzano caoticamente attorno alla loro casa originando una nuvola che cambia continuamente forma, poi, improvviso arriva il segnale della partenza. Fuoriesce una moltitudine di insetti guidati dalla loro regina, che per la seconda volta vede la luce, dopo il volo nuziale. Formano come un velo di allegria, che ondeggia e palpita, che si svolge e si avvolge dai fiori fin su nel blu del cielo: un attrattore caotico che si stira e ripiega in se stesso come un drappo in preda al vento, fin quando si posa ad esempio su un albero, a grappolo, e di lì una nuova nascita: esploratrici vanno e vengono cercando un nuovo ideale rifugio, poi il consulto generale in assemblea, e il peregrinare alla nuova dimora una volta presa l’unanime decisione, con la conseguente costruzione della nuova città. Intanto, nell’alveare abbandonato al suo culmine, già le nutrici sono all’opera per allevare ed accudire le future principesse prossime alla nascita, una delle quali sarà probabilmente la nuova regina. Ne rimarrà una sola, dopo che tutte le altre saranno state vinte dalla più forte. Al momento propizio spiccherà il volo in un giorno ideale di primavera con un bel cielo azzurro, e volerà verticalmente verso l’alto e sempre più in alto, subito seguita da migliaia di maschi pigri e oziosi che avvertiranno la sua fragranza. Il volo opera una selezione naturale data dal freddo, dalla non abitudine al volo così a lungo e verso l’alto, dalle intemperie, dai venti, dalle correnti, dagli altri uccelli ed insetti, dalle vertigini, tale che i maschi si arrendono progressivamente. La regina vola sempre più in alto, come la grappa Bocchino, finché resta un solo maschio che nella dinamica del volo si trasforma fisicamente e diventa idoneo all’atto sessuale. Nell’accoppiamento, nella fecondazione vi è l’estasi più completa e nell’atto d’amore lui perisce stretto e lacerato dalla presa di sua maestà, diventata da quel momento la sovrana incontrastata, ermafrodita, e capace quindi di procreare a volontà deponendo uova sia femminili che maschili (da vergine poteva solo deporre uova di maschi). Ella poi torna all’alveare e di lì a poco comincia la deposizione delle uova, accudite dalle api operaie, e nutrici, rimaste. Ricomincia così il ciclo e la vita di un alveare rinnovato e ringiovanito. Lo spirito ha così compiuto la sua missione come fa da migliaia di anni, sempre orientato all’avvenire, al futuro, alla conservazione della specie. Nell’attività delle api non vi è comunque una semplice meccanica ripetitività, perché esse apprendono dall’ambiente circostante, e modificano in base ad esso, di volta in volta, le loro abitudini. Ciò vale per ogni loro attività e scelta, nonché ad esempio per il loro orientamento al fine del quale compiono movimenti e rotazioni più volte nello spazio per scolpire nella memoria una mappa ambientale il più possibile precisa allo scopo di ritrovare in un secondo momento la strada del ritorno. Esse infatti pare non memorizzino forme e colori degli oggetti o dell’alveare, bensì una serie di misteriosi riferimenti spaziali e di posizione, eterei, quasi spirituali. Lasciamo un attimo le api per interrogare un premio Nobel, tale Manfred Eigen, che si è occupato di enzimi catalizzatori nel mondo della chimica. Per spiegare gli ipercicli di Eigen si immagini una struttura circolare di cicli catalitici, ovvero dei piccoli cerchi in movimento legati l’un l’altro da frecce in modo tale che queste frecce formino a loro volta un grande cerchio. Ogni piccolo cerchio trasmette informazioni al cerchio successivo e precedente, e riceve informazioni a sua volta dal cerchio precedente e successivo, apprende dall’esterno, conserva l’informazione, contiene in sé gli elementi per rompere il suo equilibrio e per crearne uno nuovo. C’è allo stesso tempo indipendenza (ogni cerchio pare sopravvivere autonomamente avendo una struttura interna) e interdipendenza (stretto legame, retroazione e rete di relazioni). E’ un po’ come parlare di noi stessi: siamo fisicamente indipendenti, autonomi, distaccati da ogni altro, eppure inseriti in una rete di relazioni con l’ambiente rendendoci interdipendenti con lo stesso: non potremmo vivere senza aria, acqua, cibo, eccetera. Così funzionano le cellule del nostro corpo in una fitta rete di relazioni che coinvolge a gradi via via più complessi i vari organi, il sistema nervoso, il sistema immunitario, il cervello, il sistema linfatico, respiratorio, la circolazione sanguigna, eccetera. Un altro premio Nobel, F. Von Hayek, nell’ambito delle scienze sociali, si è occupato di equilibri dinamici spontanei, chiamati ordini sociali, che si rompono quando la maggioranza decide che quell’equilibrio non va più bene, e se ne creano di nuovi, spostandosi da uno all’altro. In ogni equilibrio c’è l’informazione, il nutrimento, l’energia, le risorse affinché si mantenga, e allo stesso tempo le informazioni e le potenziali condizioni per la sua rottura e il formarsi di uno nuovo. L’ordine sociale di Hayek non è un dato, esso viene prodotto ed identificato tramite l’interazione conoscitiva dei partecipanti; inoltre viene stravolto il concetto di dato, che diventa un processo di apprendimento, di creazione e di interpretazione sulla base dell’esperienza e dell’interazione con gli altri soggetti (i dati soggettivi quindi non sono dati, poiché la conoscenza cambia continuamente nel corso dei processi). Esso non ha caratteristiche di ottimalità e non è comprensibile nei dettagli da nessun individuo (un po’ come le api o le formiche che prese singolarmente hanno un’intelligenza minima rispetto a quella collettiva). Evolve senza che sia stato progettato da alcuna volontà individuale o da qualche organizzazione (si tratta di un ordine spontaneo). Tale ordine risulta definito unicamente ed esattamente dalle relazioni che intercorrono fra le sue parti, relazioni che si sono venute formando con la storia trascorsa. [v. 2.3 e gerarchia intricata]. In esso si formano valori che i partecipanti tendono a rispettare in modo istintivo. Ogni ordine sociale ha inglobate in se stesso le condizioni per la propria rottura e per l’evoluzione verso un altro ordine. Stupefacente l’analogia con la sciamatura delle api e con i cicli catalitici di Eigen, vero? Hayek si dimentica forse solo, come Eigen, di citare uno spirito che governa tutto questo, ma ciò è probabilmente sottinteso. Come tanti tasselli di un puzzle messi alla rinfusa in una scatola acquistano poco a poco significato, forma e colore, benché lentamente, una volta che si comincia a riordinarli e incastrarli uno fianco all’altro, così indagini frammentarie in diversi campi come quella scientifica, sociale, naturalistica, spirituale, assumono un significato più completo, una volta riunite, non solo all’interno del proprio orticello, bensì anche a livello multi e interdisciplinare specchiandosi l’un l’altra, confermandosi a vicenda, completandosi, dicendosi con gioia: - Ma guarda un po’! Abbiamo sempre creduto di parlare lingue diverse, di essere razze diverse, di essere figlie di padri diversi, di avere radici non comuni, e infine scopriamo che tutte queste diversità e disuguaglianze sono come quelle che appaiono in un prisma esposto alla luce del sole che assume colori diversi a seconda della sua inclinazione, eppure il raggio che lo attraversa è sempre lo stesso. Gli ipercicli (autocatalitici) di Eigen nella chimica, la creazione degli ordini sociali fatta da Hayek per le scienze sociali, le dinamiche degli equilibri nel mondo delle api, per fare un esempio, sembrano parlare la stessa lingua, confermandosi l’un l’altro. Nella natura (v. api), nella chimica di ogni organismo vivente (v. Eigen), e nelle dinamiche sociali dell’uomo (v. Hayek) si osservano ripetutamente gli stessi fenomeni: ogni mondo a sé non è a sé; tutti i mondi si compenetrano l’un l’altro. E in ogni mondo stretto in una fitta rete di relazioni interconnesse e interdipendenti, al suo interno e con altri mondi (chiamati altri per comodità, visto che il mondo pare essere uno soltanto), operano meccanismi di riproduzione, mutazione, apprendimento, retroazione (feedback), selezione, conservazione, mutamento, distruzione e trasformazione. Tutti gli equilibri che vi si formano sono stabili ed instabili allo stesso tempo, perché in ogni apparente stabilità vi sono i germi per l’instabilità, per la rottura dell’ordine, e la creazione di nuovi ordini ed equilibri, oltre che quelli per la conservazione dello stesso; e in ugual misura in ogni apparente instabilità già ci sono i semi per una nuova stabilità (le api che fuggono dall’alveare paiono instabili, ma già stanno volando verso un nuovo ordine e una nuova stabilità).
La sciamatura delle api è come figlia di un parto collettivo, un uovo complesso fecondato si rompe, per procreare e costruire nuovamente nello stesso luogo e altrove. Analoghe dinamiche si riscontrano nei cicli autocatalitici prefigurati da Eigen (ipercicli catalitici in sistemi circolari chiusi). Stesse sono le osservazioni di Hayek sulle dinamiche sociali. E’ importante osservare che ogni cosa avviene spontaneamente, come se una mano invisibile guidasse tutto questo: sia essa lo spirito dell’alveare o delle cellule o delle molecole o di qualsiasi specie compresa quella umana. Allo stesso tempo, oltre ad esservi un’entità impalpabile che opera, vi è l’ambiente, la natura, vi sono le condizioni iniziali sempre nuove, l’eterno divenire che modifica il tutto continuamente: tutto ciò pare indicare che a un certo livello di coscienza non esiste il meccanicismo, percezione probabilmente grossolana, che prende significato solo a un livello di coscienza e conoscenza ancora incompleto (Newton è ancor valido ma grossolanamente, a livello macroscopico, per i moti e le orbite dei pianeti). Pare esista un disegno, grande, enorme, spesso incomprensibile, nel quale però ci è dato intuire alcune linee guida. Questo disegno è continuamente mutevole, e allo stesso tempo preordinato fino a un certo punto, perché ognuno di noi ha in mano un pennello e può lasciarvi impronte, tracce e colore. E’ un disegno estremamente elastico, multiforme, flessibile, nel quale i confini stessi continuamente cambiano, modificabile, però sempre all’interno di invisibili linee guida, sempre sotteso allo spirito dell’alveare, che consente alle api di operare scelte, creare architetture così perfette ma ugualmente non rigide bensì modificabili ogni qualvolta l’ambiente lo richieda, eppure di non sottrarvisi nei momenti cruciali (vedi sciamatura, massacro dei maschi, volo nuziale, …).  Nell’uomo prevale l’egoismo e l’intelligenza individuale (come nelle api e nelle formiche primordiali di migliaia di anni fa). Egli è ancora al primo step della sua evoluzione. Lo spirito collettivo opera in lui ancora inconsciamente, ovvero non opera, non viene ascoltato. Non vi è nell’uomo ancora un comportamento collettivo volto al mantenimento, alla conservazione alla preservazione e orientato al futuro, all’avvenire della propria specie (basta guardarsi attorno in ottica di ecologia ed ambiente ad esempio). Analizzando le dinamiche complesse delle specie animali cosiddette sociali e cercando di comprenderne gli equilibri non solo si amplia la sfera e l’orizzonte della conoscenza; vi è anche la possibilità sussidiaria di trarre indicazioni, utili insegnamenti, in una parola di prendere coscienza. Comunque tutto resterà solo a livello di pensiero o di parola fin quando si continuerà a non voltare pagina, fin quando si continuerà nell’abitudine meccanica e nell’imitazione di modelli umani poco illuminati, fin quando si percepirà che il disegno c’è, sì, ma è già scritto e quindi ci si auto-convince che il pennello di ognuno di noi non ha alcun significato. Chi si auto-convince di questo rende inutile la sua vita, ma pure questa affermazione è confutabile. Che lo vogliamo o no, comunque agiamo o non agiamo, il disegno va avanti uguale, e in un modo o nell’altro diamo un nostro contributo. I maschi delle api oziano, pigri, senza far nulla cibandosi in maniera arrogante del miele frutto del lavoro delle operaie. Essi scelgono il dolce far niente, in ordine al disegno della natura (più o meno consapevolmente, non si sa). Ciò nonostante uno di loro sarà colui che feconderà la regina, per cui a qualcosa sarà servito. Tutti gli altri, compreso il fortunato sposo per un istante, saranno massacrati. La loro vita è inutile, eppure è utile. Una vita vissuta o non vissuta poco cambia: inutilità ed utilità si fondono. Ma si può andare oltre: al contrario dei maschi delle api, possiamo andare oltre, ed evitare il “massacro”. Questo è tra i doni più grandi che abbiamo ricevuto: la possibilità di scegliere.

 

 

 

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