1.6 Lillipuziani su una foglia

 

 

Finalmente Dio disse: Facciamo l'uomo a norma della nostra immagine, come nostra somiglianza, ..

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La nostra nuvola panna montata rende ancor più intenso il blu del cielo e se ne sta lì quasi immobile. Si trova in una situazione di equilibrio dinamico. Ma di che tipo di equilibrio si tratta? E’ un equilibrio stabile o instabile? Che vuol dire stabile o instabile? Prendiamo una tazza e mettiamoci sul fondo una biglia. Proviamo ora a scuotere più o meno leggermente la tazza (o la biglia). Possiamo osservare che la biglia si muove, va a destra e sinistra, ma dopo un po’ di tempo la sua oscillazione si riduce, e piano piano torna al punto centrale di partenza dove stava in quiete. Ora rovesciamo la tazza, e mettiamoci sopra la biglia. Notiamo che appena la percuotiamo, essa cade giù, da un qualsiasi lato, ma senza più tornare al punto di partenza. Il primo caso (biglia dentro la tazza) è un esempio di equilibrio stabile, ovvero le perturbazioni esterne non modificano facilmente questo stato di equilibrio, mentre nel secondo caso (biglia su tazza rovesciata) ogni minima perturbazione può provocare la perdita dell’equilibrio (la biglia cade). La nuvola di panna montata si trova momentaneamente in un equilibrio stabile, perché le perturbazioni a cui è soggetta (correnti, venti, temperatura, sole, pressione), non la modificano, resta sempre lì, con questa sua bella forma quasi impossibile da raccontare, tutt’al più qualche brezza la può spostare in qualche direzione, conservandosi comunque nella sua interezza. Non sempre è così. Ci sono delle condizioni per le quali una nuvola diventa instabile, e il suo equilibrio può venir meno. Cosa succede in questo caso? La nuvola si frammenta, si spezza, si divide in due, tre, cinque pezzi. La frammentazione può continuare anche su un’ampia scala, tante nuvole si frammentano sempre più e si disegna nel blu un bel cielo a catinelle. Cielo a catinelle, pioggia a pecorelle…a crepapelle…com’era il proverbio? Può accadere anche il processo inverso: nubi da varie parti tendono ad addensarsi, a riunirsi, a diventare un nuvolone grande grande. Questo processo di rottura degli equilibri i “caotici” lo chiamano biforcazione (da bif, due…l’uno che si divide in due?). Forse è più suggestivo chiamarlo ramificazione. Le nuvole si ramificano ovviamente conservando le loro peculiarità, le loro caratteristiche, le loro qualità frattali, il loro dna…un po’ come quando una cellula si spezza e nascono due nuove cellule, ognuna con le stesse uguali caratteristiche dalla cellula madre, quindi completa, non monca. Ma cos’altro ramifica meglio se non un albero? Arrampichiamoci su un tronco di quercia e saliamo sempre più su; ad un certo punto il tronco si divide, perde l’equilibrio, si ramifica. Saliamo ancora e ciascun ramo ad un certo punto perde nuovamente l’equilibrio e ancora ramifica. Rimpiccioliamoci con un raggio laser [v. 3.1, 2.3] e saliamo sempre più in alto, seguendo percorsi alternativi, saltando da un ramo all’altro, cose fossimo una scimmia. A una scala più piccola siamo su un nuovo tronco, che improvvisamente si divide in due. Rimpiccioliamoci ancora, seguendo la proporzione dei rami nuovi tronchi di un albero sempre nuovo e sempre più piccolo, e così via, finché arriviamo nel verde più verde, dove non ci capiamo più: il caos. Foglie giganti ovunque che ci fanno ombra e ci nascondono o riparano dal sole (nel frattempo siamo diventati lillipuziani). Saliamo su una foglia, i nostri occhi riescono a distinguerne nitidamente la superficie. Alla sua base c’è un piccolo tronco, lo percorriamo a piccoli passi come stessimo su una mappa che è diventata magicamente il nostro territorio. Improvvisamente il piccolo tronco segue altre linee, nuove ramificazioni, e ramificazioni su ramificazioni, a scale sempre più piccole finché abbiamo bisogno di una lente per distinguere le ulteriori deviazioni. Biforcazioni, ramificazioni, perdite di equilibrio, caos, una gran confusione, e dentro il caos, ogni foglia ci racconta una storia fatta di nuove ramificazioni, un nuovo ordine, matrioske sempre più piccole ognuna un pò diversa dall’altra. Ogni foglia (improbabile che ce ne sia una esattamente uguale ad un’altra) pare raccontarci la vita dell’albero, la sua matrice originaria, la legge che lo contraddistingue, benché celata, un pi velata, semplicemente lasciata intuire; e ciascuna lo fa a modo proprio, perché ogni foglia regala ramificazioni differenti, lasciando solo capire in qualche modo che sono tutte della stessa famiglia. Ogni foglia è sensibile all’ambiente, alle condizioni iniziali, al clima, agli agenti atmosferici, alle traiettorie di tutti i rami e rametti precedenti che l’hanno in qualche modo preannunciata, e quando prende forma si ricorda di tutto quanto, regala un po’ di se stessa a tutti i suoi precursori, disegna sulla sua superficie irregolare, sulle sue svariate inclinazioni la mappa dei suoi tesori, della sua storia passata, una dedica al vento che la accarezza, al sole e all’acqua che la nutrono, agli animaletti che l’hanno adottata, alle ombre che le danno ristoro. Discorso analogo si può forse fare verso il basso percorrendo radici su radici, perché il seme di ogni albero pare abbia voglia di farsi conoscere in ogni direzione, è multidirezionale, multidimensionale, vuole esplorare dappertutto, non è affatto linear-euclideo. Nella terra c’è più resistenza rispetto all’aria, forse è per questo che le radici sono un po’ meno spesse dei loro simmetrici rami, e si propagano più lentamente. Simmetria richiama alla mente l’asimmetria, perfezione e imperfezione, classificazioni che perdono il loro valore, distinzioni che si fondono, la perfezione nell’imperfezione, la simmetria nell’asimmetria, e via dicendo. Il caos è una mazzata per il nostro linguaggio, per le nostre forme di comunicazione, per tutto ciò che è stato creato dall’uomo (ovviamente preminentemente euclideo) e ci conduce ai paradossi, all’illogicità, allo sfondare la mente razionale limitata, ai koan, un po’ come fa allo stesso modo la sua cugina prediletta: la meccanica quantistica. C’è un disegno sotteso, un progetto deterministico di crescita (o meglio di creazione, conservazione e distruzione) alle spalle, però c’è ugualmente sensibile dipendenza alle condizioni iniziali (alla luce, al sole, al calore, alla qualità della terra e dell’aria) che fanno di ogni albero la sua unicità anche all’interno della stessa specie, e lo differenziano pure dal “fratello” a fianco. La chioma di un albero è piena di buchi, di aria, di insetti, di zone di luce, di zone d’ombra, di spazi vuoti, di raggi che filtrano (anche tutto questo è albero) e ogni foglia, ogni ramo crescono intersecandosi ma senza toccarsi,  appena sfiorandosi (c’è qualche analogia con il nostro giro in giostra sulla nuvola?). Due alberi uno a fianco all’altro non litigano, armonizzano la luce del sole e l’aria che ricevono, diventano tutt’uno nel loro pieno rigoglìo estivo, indistinguibili, e senza lottare: nessuna foglia fa a pugni con le sue sorelle o cugine, e i due alberi diventano uno soltanto, le loro chiome si intersecano, ogni ramo si inchina ad ogni altro, ogni foglia approfitta della luce come può, la crescita di un ramo o di una foglia si interrompe quando le condizioni glielo suggeriscono, e tutto perfettamente in meravigliosa armonia. E’ un po’ quello che mi confermava un amico antropologo di Torino: siamo tutti uguali, abbiamo tutti lo stesso hardware (che paragone infelice mi ha fatto, un po’ euclideo in effetti, comunque che dà l’idea); ciò che ci differenzia è il software (ovvio che qui ci possiamo mettere dentro di tutto, ma questo porterebbe ad aprire ipertesti di nuovi discorsi). La nostra faccia è soggetta alla legge della crescita e dell’invecchiamento, ma è pure sensibile alle condizioni iniziali: cambia ogni volta che sorridiamo, che piangiamo, si trasforma ad ogni istante: per quello che diciamo, ascoltiamo, vediamo, facciamo, pensiamo, per tutto ciò che ogni nostro senso grossolano o sottile può percepire. Diventa così di volta in volta serena, contratta, rilassata, cupa, ed assume ogni genere di gradazione e sfumatura. Le piante analogamente sono sensibili alla luce, alla terra, all’aria, al calore, all’aria, ma pure il vento dà loro forma; la musica, una carezza, una nostra parola o pensiero contribuiscono al loro benessere. Il caos parla di noi stessi e a noi stessi. Ci invita ad alzare il nostro livello di attenzione, ci insegna a vedere nel vero senso della parola, a guardare in profondità a tutte le cose, a comprendere la fitta rete di relazioni e forze interconnesse, interagenti ed interdipendenti di cui facciamo parte integrante. Ci invita a fare attenzione ai particolari, anche i più minimi ed apparentemente insignificanti, a vivere ogni nostra azione quotidiana come fosse sempre nuova, perché è sempre nuova, bella, affascinante, curiosa, dal momento in cui viene essa svincolata dall’abitudine, dalla ripetitività, dalla meccanicità, da un atteggiamento lineare, statico, conformista, imitatore, autistico, euclideo. Ci fa capire che non siamo soli, siamo processi in una rete innumerevole e interdipendente di processi bellissimi, complessi, e allo stesso tempo semplici (quando arriviamo a comprenderli nella loro vera essenza). Continuamente influenziamo il mondo intero e ne siamo influenzati, ma attivamente, in modo partecipe, costruttivo, dinamico, caotico. Nella passività ugualmente siamo partecipi in qualche modo, ma in maniera euclidea, meccanica, senza coscienza, manovrati dalle forze della natura e sballottati avanti indietro come fossimo in un tourbillon dove c’è dentro di tutto. Una pianta ha i sensi tutti bene aperti, è ricettiva al massimo grado, la sua attenzione è completa. Allo stesso modo, con i sensi sempre più aperti diventiamo maggiormente ricettivi, e il nostro grado di attenzione sale. La dinamicità della pianta è sintomo di elasticità, flessibilità, oltre che di mobilità. Hai mai guardato un albero? Un ramo? Una foglia? Una corteccia? Il suo seme non è un punto e tanto meno una sfera. Il suo tronco non è una linea, né un cilindro, le sue ramificazioni non sono forchette, le sue superfici non sono liscie, piatte, piane. Nella sua crescita è soggetto alle influenze esterne, disegna curve irregolari, e continuamente mutevoli, modificabili e sempre nuove. Quale mostruosità sarebbe se crescesse lineare? La natura si muove dinamicamente in virtù della bellezza e dell’armonia, e ogni sua forzatura diventa una violenza. Ad esempio la potatura di un albero è un gesto violento, euclideo, un taglio netto, lineare, di dimensione due, e benché si trovino sempre delle giustificazioni a questo agire pare ci siano ancora foreste che sopravvivono da millenni senza mai avere visto una sega elettrica, a mano o circolare.

 

 

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