1.9 Un albero-nuvola di formiche

 

 

Si separa e di nuovo si aduna, e sorge e vien meno, si avvicina e si allontana.
 
Frammento 17 -  Eraclito

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Come cammina un culturista (quelle persone gonfiate che fanno body building)? E’ rigido, duro, oppure elastico e flessibile? E’ lineare o non lineare? Dà un senso di mobilità o di immobilità? Come camminiamo noi? Seguiamo delle linee o delle curve? Abbiamo un pensiero fisso, un obiettivo, siamo consci di ogni nostro passo? Siamo coscienti di ogni minimo movimento di ciascuno dei nostri piedi quando facciamo un passo, e di tutto il movimento di ogni gamba, e del corpo stesso con essa? Vi facciamo attenzione? Stiamo usando tutti i nostri sensi, compresi quelli sottili, grossolani e il senso di orientamento? O stiamo pensando a tutt’altro? Se stiamo pensando a tutt’altro probabilmente non siamo presenti (o ben poco) e questo vale per qualsiasi azione della nostra giornata. E come si muove un neonato? Come si muove un bambino non appena impara a camminare su due piedi? Quali sono le sue traiettorie? Hai mai guardato una formica, osservato i suoi movimenti, le sue traiettorie? Come si muove una formica? Le sue traiettorie sono regolari o irregolari? Sarebbe interessante capire cosa vuol dire regolare o irregolare, però stando a quanto ci è stato tramandato regolare pare essere tutto ciò che è prevedibile, lineare, conforme a precisi modelli imposti e predefiniti. La materia che riguarda le formiche (mirmecologia) è ricca e vastissima. Si ramifica in continuazione e l’interesse si smarrisce e disperde in tutte le direzioni. Traggo spunto per quanto segue qui sotto dall’opera del premio Nobel Maurice Maeterlinck sulla vita delle formiche (scritta nel 1930); egli era un belga, nato nella graziosa città di Gand nelle Fiandre, dove sono stato in una mia recente vacanza in Belgio. Ovviamente i riferimenti a traiettorie, biforcazioni, stabilità, attrattori caotici, proprietà emergenti, non hanno niente a che vedere con la sua opera, ma sento che questo parallelo l’avrebbe lui stesso fatto se fosse stato a conoscenza di quello che è venuto da Lorenz in poi. Proviamo quindi ad entrare nel mondo delle formiche. Come se stessero scegliendo passo dopo passo la loro direzione, aggiornando gli influssi ambientali, pare si muovano in un diagramma di biforcazione, in un albero immaginario che ramifica ovunque, e loro ad ogni incrocio nascono e muoiono nello stesso istante, aggiornano le loro informazioni, scelgono in base alle loro percezioni interne ed esterne (odori, rumori, profumi, messaggi, influenze ambientali, suoni, ostacoli) e alle informazioni che ricevono (incrociandosi con altre simili, con un pezzo di cibo, un ostacolo, un pezzetto di materiale interessante, la mia mano che giuoca ponendosi sul loro cammino per osservare la loro reazione). Le formiche non sanno dove sono finché non vi si trovano: sono nuove ad ogni istante, non pensano, non hanno in mente nulla, agiscono nel momento presente, continuamente, non si preoccupano del futuro. Paiono dotate di una topografica chimica, ossia percepirebbero a distanza delle emanazioni odorose che prolungano nell’aria la loro geografia fisica dello spazio, ma in modo più confuso. Sembrano in grado di discernere, pare abbiano il senso degli angoli e delle attitudini, il quale consente di correggere le deviazioni. Altre peculiarità loro attribuite sono la memoria muscolare (memoria dei loro movimenti per spostarsi da un punto all’altro, memoria reversibile che consente il ritorno al luogo d’origine) e la formica intesa essa stessa come bussola per orientarsi in direzione del nido.
Potrebbero esservi presenti altre forze, associate alle formiche, analoghe alla nostra elettricità o magnetismo. Paiono dotate di effemeridi interne (visto che associano i loro movimenti al ciclo del sole). Secondo alcuni la direzione di rientro è funzione del cammino fatto durante un’esplorazione, e non di ricordi visivi, tattili o olfattivi. Osservandole tutte assieme fuori da un formicaio pare di vedere un attrattore caotico, una nuvola di formiche che vanno in ogni direzione, spinte in qualche modo verso il centro (rappresentato dal loro nido, il formicaio) o verso fuori (verso il loro lavoro: procurare cibo, materiali da costruzione,…) sempre però entro un raggio massimo che pare prestabilito, che sembra essere il massimo della loro percezione sensoriale, direzionale, olfattiva (multi-dimensionale) per poi raggiungere nuovamente il nido. Una forza repulsiva spinge formiche operaie fuori dal nido a lavorare, e contemporaneamente una forza attrattiva richiama formiche operaie dentro al formicaio: sembrano legate a un filo invisibile che si srotola fino all’estensione massima, punto nel quale sentono ancora il richiamo materno, punto oltre il quale si perderebbero irrimediabilmente. Se qualcuno, da un altro pianeta, osservasse i movimenti degli uomini in tutto il loro andare e venire in tutte le direzioni probabilmente avrebbe la stessa percezione (siano essi in una città, o in qualsiasi area ove ci sia del movimento).
Le formiche seguono traiettorie strane, irregolari, sembrano percorrere un tratto di costa frastagliato in tutti i suoi interstizi e spezzettature, si muovono in maniera non lineare e frattale, e compiendo scelte di biforcazione (come se stessero salendo su un albero e scegliessero quale ramo di volta in volta percorrere per raggiungere la sua cima più lontana). Immaginiamo un formicaio, delle formiche e due ponti per raggiungere il cibo al di là del ponte. In un primo esperimento si potrà notare che tutte le formiche passano per il primo ponte. Ripetendo l’esperimento si potrà vedere che tutte le formiche vanno attraverso il secondo ponte. Cosa vuol dire tutto questo? Le biforcazioni testimoniano che ci sono diverse strade da seguire, e il sistema (es. la formica) sceglie una strada soltanto; se ripetiamo l’esperimento può essere scelta una strada diversa (abbiamo quindi a che fare con probabilità); ciò implica che il futuro non è fissato, non è predeterminato (come ad esempio sostenevano Newton ed Einstein). Esiste continuamente una rottura di simmetria (di simmetria e asimmetria si è già accennato qualcosa).
Riepilogando un’operaia esce dal nido, vincendo la forza attrattiva (che mantiene sempre dentro ad esempio le madri, le femmine, la regina,..), e sospinta da una forza repulsiva che la spinge fuori alla ricerca di cibo (o materiale). Un albero invisibile ramificato ogni millimetro si stende davanti a lei, e sotto i suoi piedi. Ad ogni diramazione l’operaia si ferma, si svuota e muore. Allo stesso tempo rinasce, e attraverso i sensi si riempie di informazioni dall’ambiente circostante: odori, suoni, messaggi da altre operaie, profumi, conoscenze tattili (se tocca qualche oggetto o ne percepisce comunque la presenza vicina od immediata). In base a tutto questo istintivamente sceglie quale strada intraprendere. Fermandosi e muovendosi lascia una traccia del suo odore, che potrebbe esserle utile per il percorso a ritroso quando dovrà tornare al proprio nido (una specie di sassolini bianchi di Pollicino, o di filo di Arianna, essendo le formiche per lo più cieche o quasi). Alla ramificazione successiva l’operaia nuovamente si ferma, si svuota e muore. Allo stesso tempo rinasce, apre i sensi, raccoglie informazioni, istintivamente sceglie, e così via. Il percorso di una formica è di conseguenza imprevedibile, perché ad ogni biforcazione può scegliere tra più direzioni, compie una scelta, che dipende da molti fattori ambientali, dalla sua intelligenza individuale (minima), dall’intelligenza collettiva (massima) e dal suo istinto. Pare che le formiche seguano un piano comune, avendo accordi unanimi ed istantanei [v. 2.2]. Le formiche, ove si muovono in gruppo, dimostrano una sorta di genio, mentre da sole, non più ispirate da un’anima collettiva [v. 2.3], smarriscono i tre quarti della loro intelligenza. I fattori ambientali sono in continuo mutamento: clima, temperatura, ostacoli, luce (le formiche amano il buio),  pezzi di cibo e di materiali come erba, pezzetti di legno, si rinnovano continuamente. Alle volte un formica può tornare indietro quando trova un oggetto interessante, ma troppo voluminoso per trasportare o trattare da sola, e va a chiedere aiuto fino al formicaio, oppure si rivolge alle compagne operaie vicine. Il seme di questo albero-nuvola immaginario di formiche in movimento continuo ed incessante sta nel formicaio. Perché chiamarlo seme? Nel volo nuziale ciascuna femmina spicca il volo insieme a cinque sei maschi per la fecondazione. Finita la loro funzione i maschi vengono lasciati, si abbattono al suolo e periscono dopo poche ore. La sposa fecondata torna a terra, e si libera delle ali. Sprofonda nella terra e si scava una stretta prigione, dove al massimo può penetrare un po’ di umidità. Immaginiamo questo involucro come un seme. All’interno di questo seme sta una possibile futura regina, imprigionata (ogni formica può vivere nella terra umida per quasi un anno priva di nutrizione). Le fuoriescono alcune uova, e dopo un po’ escono delle larve. Con cura ne nutre alcune, ma dopo 5-6 mesi la madre esausta non ce la fa più, e allora per sopravvivere si mangia alcune di queste larve o alcune uova. In questo modo guadagna forza per deporre altre uova. E così va avanti, miseramente, a forza di parti e infanticidi, per quasi un anno, a forza di piccoli passi (3 avanti e 2 indietro), finché (2 o 3 vergini su mille in volo nuziale ce la fanno) si formano due o tre formiche operaie, ovviamente deboli in quanto mal nutrite fin dall’uovo. Queste operaie riescono a forare le mura della prigione e vanno alla ricerca dei primi viveri da portare alla madre. L’eroicità della madre è finita, il seme si è finalmente aperto, e la “pianta” può nascere. La madre, la regina, d’ora in poi non dovrà più far nulla: sarà accudita, rifocillata, lavata, venerata, protetta, da una moltitudine di formiche sue figlie che faranno del seme, della prigione, un formicaio nell’abbondanza e nella prosperità. Un seme nell’arida terra pare morto, senza vita, inerte, ma ha solo un’infinita pazienza, aspetta semplicemente un po’ d’acqua che ammorbidisca e nutra la terra, e crei le condizioni favorevoli affinché delle forze al suo interno si ridestino, e aprano l’involucro, dando primitivo corpo alla pianta attraverso il primo esile e timido germoglio: l’alba della vita. L’acqua, l’umidità, la pioggia: tutto ciò richiama alla vita e alla sua aurora. Quando piove infatti pare quasi di dormire meglio, più profondamente, gioiosamente, a lungo, quasi memori dell’acqua che ci cullava nel grembo materno.

 

 

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