1.7 Un viso (im)perfetto

 

..Come in cielo così in terra

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Osservando le dinamiche di un albero comprendiamo che c’è una legge interiore, vitale, che lo fa crescere in un certo modo, seguendo certe linee di principio, un’idea, un archetipo [v. 2.1]. Questa legge interiore non è però isolata, indipendente, ovattata; l’albero non cresce né in laboratorio, né sotto una campana di vetro. Nella sua evoluzione, nel suo sviluppo la legge interiore interagisce con l’ambiente, con le condizioni iniziali (che si rinnovano ad ogni istante della crescita[v. 2.3]), con dei fenomeni o leggi esteriori (cosicché interno ed esterno, esteriore ed interiore diventano una cosa soltanto). L’ipotetica simmetria, l’autosomiglianza (le matrioske perfette) che vengono suggerite dai modelli matematici, dalla teoria, dalle simulazioni a computer sono approssimazioni, che per quanto accurate non saranno mai fedeli completamente alla realtà, benché vi si avvicinino abbastanza. Basta guardarci allo specchio e tagliarci in due per capire. La nostra parte sinistra non è uguale alla parte destra, sono simili ma non uguali: abbiamo un braccio più corto, uno più lungo, una gamba più piccola, una più grande. Facciamo l’esperimento di tagliare esattamente in due una foto del nostro viso, prendiamone un pezzo (ad esempio la parte sinistra) e appiccichiamoci a fianco la sua immagine speculare. Cosa succede? Otterremo un viso innaturale, inespressivo, morto, asettico, senza vita. La perfezione si nasconde nell’imperfezione, la bellezza risiede nell’asimmetria. La perfetta autosomiglianza è valida in teoria, dove uno zoom a computer rivela universi su universi a scale sempre diverse, ognuno uguale all’altro. Nella realtà non c’è solo una formula, solo una legge ad operare, ma più di qualcuna, esiste un tutto interconnesso dove si scoprono proprietà emergenti (tra le righe), una fitta rete di relazioni di processi nei quali siamo attori tutti noi, nonché la natura al completo che ci circonda e di cui siamo parte integrante. E’ intuitivo comprendere che in un simile universo complesso ci sono matrioske un po’ speciali: a scale sempre più piccole si trovano sempre nuove bamboline. Nuove, quindi uniche, benché simili alle altre, non esattamente una fotocopia ridotta o in miniatura. Nell’universo c’è una quasi autosomiglianza, una quasi simmetria, una quasi perfezione, e la cosa curiosa è che l’impefezione rende tutto così perfetto ai nostri occhi. Che l’anima conosca il segreto?!  La soluzione dell’enigma, di questo paradosso dovrebbe essere comunque semplice. Il nostro linguaggio, il nostro modo di classificare, giudicare, pensare, formare idee, dare spiegazioni, interpretare le cose del mondo è fortemente cartesiano, logico, euclideo, razionale, figlio di una mente e di una logica lineare e limitata. Spiegare l’infinito con il finito, l’irrazionale con il razionale, l’illimitato con il limitato, il non lineare con il lineare è probabilmente tempo sprecato. Le nostre aspettative sono lineari, logiche, limitate. Siamo abituati ad esaminare, spezzettare, vivisezionare, analizzare tutto per parti spesso dimenticando una cosa essenziale: il tutto è ben di più della somma delle sue parti. Simmetria, perfezione, uguaglianza sono espressioni di un linguaggio duale e limitato. Ecco perché la perfezione sta nell’imperfezione. Si tratta di una Perfezione con la P maiuscola, sale di livello, sta su un altro piano di comprensione, trascende la dualità, i limiti, il finito. Ogni concetto, ogni parola del nostro linguaggio andrebbe rielaborata, re-interpretata, trasmutata, trascesa. Ma non è come bere un bicchiere d’acqua. Ecco perché a volte si usano le metafore, i paradossi (apparenti, visti così solo da una mente razionale), le storielle, gli aneddoti, le favole, le parabole. Il nostro linguaggio euclideo è limitato e insufficiente, può arrivare solo fino a lì. La teoria del caos è un semplice strumento che ci aiuta ad aprire un po’ più gli occhi. Nient’altro. Ha i suoi limiti, come tutte le teorie, però è simpatica, è umile, non si vanta. Ci può suggerire che domani ci sarà probabilmente il sole, con prudenza, senza sparare sentenze o certezze. Se le domandi: - Come fai a dirlo? Ti risponderà: - Che importanza ha il come? L’importante è che sia una buona previsione. Non può rispondere a domande razionali, perché cadrebbe nel tranello euclideo. Prova a trascendere, usando però l’immanente: l’aiutano paradossalmente mezzi matematici e statistici anche euclidei come medie e linearizzazioni. E’ umile, e a ragion veduta perché si rende conto che la globalità nel nostro piccolo è indefinibile, incontrollabile, imprevedibile, e non è poi così importante conoscerla, a meno che non si sia affetti da megalomania. Si occupa di problemi piccoli, li studia localmente, ben sapendo che il comportamento locale non è estendibile alla globalità. E così va avanti, abbinando umiltà e semplicità alla complessità, cercando di rendere semplici anche le matasse più complesse. Non inventa nulla, perché gli esempi finora fatti sono tratti dalla natura e sono sotto (o sopra) gli occhi di tutti, chiunque li può confermare o vivere personalmente. Le sue previsioni sono altrettanto umili, e quindi per un futuro limitato, piccolo, di breve periodo. Sembra ispirata da Eraclito, colui che disse che nello stesso fiume si entra e non si entra. L’eterno divenire, gli opposti che si fondono, la dualità che viene trascesa e torna al logos originale (visione unitaria, olistica del tutto). Siamo processi: siamo, l’essere, processi, il non essere, il divenire. Essere o non essere? Essere e non essere forse è la soluzione. Tutto scorre, però non è illusorio, non è vacuo, c’è una centralità, un’essenza che tutto pervade e sorregge. E’ quell’essenza che sta in ogni nostro viso a sua testimonianza, in ogni nostro sguardo e sorriso, e che va perduta quando tagliamo il viso in due. E’ qualcosa che nessun modello, nessuna teoria è mai riuscita a rappresentare: è la bellezza, l’armonia, la gioia, la vita stessa.

 

 

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